Piero Boitani, Il Sole 24 Ore
In Irlanda, sin dal V secolo, i poeti e le poetesse nascono e crescono come lo shamrock, il trifoglio che dell’isola è simbolo. La generazione dei nati attorno all’inizio della Seconda Guerra Mondiale va ormai assottigliandosi, ma è vivo e vegeto probabilmente il maggiore: Michael Longley, classe 1939, di Belfast, allievo a Dublino del grande grecista W.B. Stanford, sposato con la critica Edna, amico e ‘competitor’ del coetaneo Heaney, con il quale fa parte del “Group” che dalla Queen’s University di Belfast lanciò un vero e proprio Rinascimento nordirlandese.
Di Longley, appassionato frequentatore della Toscana, l’Italia conosce purtroppo ben poco: a parte alcune comparse in antologie e riviste, Angel Hill è la prima raccolta pubblicata nel nostro paese, per l’attentissima cura di Paolo Febbraro, egli stesso poeta di non piccolo conto e assiduo frequentatore dell’Irlanda e della sua poesia. Angel Hill, però, è soltanto la penultima raccolta di Longley, seguita dalla grande The Candlelight Master (“Il Maestro del Lume di Candela”), ma preceduta da una quindicina di libri di versi e dal breve, ispirato discorso sulla propria poesia, One Wide Expanse (“Una landa immensa”, dal celebre sonetto di Keats sull’Omero di Chapman).
Gli aspetti che più colpiscono il lettore della poesia di Longley sono la ri-scrittura di Omero; il paesaggio meraviglioso dell’Ovest irlandese; e l’amore per i particolari più minuti del mondo naturale (inaugurato con forza e delicatezza proprio qui in Angel Hill). Omero non è un semplice oggetto di imitazione, è al centro di una vera e propria ri-scrittura che colloca l’Iliade e l’Odissea, i poemi più antichi della nostra tradizione, al centro del presente: dove regna il conflitto, come nell’Iliade; dove domina la ricerca, come nell’Odissea. Febbraro ha dunque perfetta ragione nel sostenere che in Longley l’originalià è sostituita dalla originarietà. Il poeta procede isolando un grumo narrativo omerico, lo medita a lungo, lo svolge, lo traduce in un istante lirico: in Angel Hill, è “La spilla”, il fermaglio che tiene uniti i due lembi del mantello di Ulisse, ma altrove è l’incontro all’Ade con Anticlea, la madre morta di nostalgia per il figlio che non tornava mai: un solo periodo di diciotto versi e di enorme potenza.
Ora si immerga Omero nel paesaggio della costa occidentale dell’Irlanda: cambia persino il famoso Notturno di Iliade VIII, una volta che lo si veda dal lungo fiordo di Killary, oppure dalle Punte Tonakeera e Alleran, sull’Atlantico. Non muta il panorama, perché la luna e le stelle sono sempre tali: cambia il modo di “vedere le cose”, come diceva Heaney. Infine, si aggiungano a queste “cose” i nuovi oggetti dell’attenzione di Longley. “I poeti amano la natura, e amore sono”, scrive il poeta citando il romantico John Clare. E osserva con attenzione minuta, affascinata, ecologistica, “da un cottage fuori mano / presso le dune”, l’erba delle sabbie, lumache, uova di sterna, il gracchio e i chiurli, e come orizzonte la scogliera con i nidi del corvo. “Decifratori d’ali in falene e farfalle”, chiama questi poeti entomologi: gente che conta i pony e i cigni del Connemara. Ecco, “si materializzano dalla foschia marina e / nella nebbia di soffioni svaniscono. / Uno ha scritto una bella poesia su un merlo”.
C’è qualcosa di sacro e allo stesso tempo di perfettamente terreno, in questo atteggiamento, come anche nell’amore di Longley per i pittori irlandesi del paesaggio occidentale, Paul Henry e Gerard Dillon, per i geografi e i naturalisti che per primi ne hanno esaminato gli elementi, gli animali e le piante. Così, in Angel Hill troviamo veri e propri cammei come La lente d’ingrandimento, o il brevissimo haiku Primula, e Vischio, e poesie dedicate alle oche, agli asini e alle rondini, agli storni, a un cardo, al tasso, al raggio del merlo d’acqua, all’uovo del lucherino: “Considera l’uovo del lucherino, / finemente screziato – macchie / e trattini – lilla, pallida ruggine / rossiccia, spruzzi di sangue / traverso un bianco verdastro – / tramonto a finis terrae – insomma / considera l’uovo del lucherino”. Sì, i poeti amano la natura, e amore sono.
Anticlea
Se alla roccia dove confluiscono i fragorosi fiumi, l’Acheronte,
il Piriflegetonte e il Cocito, affluente dello Stige, scavi
una fossa larga, lunga e fonda un cubito, dalle nocche al gomito,
e vi sacrifichi un montone e una pecora nera, piegando loro il capo
verso le tenebre esterne mentre tu volgi la fronte all’acqua,
tante di quelle anime anemiche dei morti ti si affolleranno attorno
che dovrai tenerle lontano dal sangue con la baionetta,
ma tra questi zombi a un tratto riconoscerai tua madre,
e se, dopo averle dato del sangue da bere e parlato di casa,
tre volte ti farai avanti per abbracciarla, per tre volte
come un’ombra o un’idea lei ti svanirà tra le braccia
e le chiederai perché evita di toccarti e lacrime verserai
perché ecco qua tua madre e perfino quaggiù nell’Ade
un abbraccio tremante sarebbe a entrambi di conforto,
ti spiegherà lei che i tendini non legano più la sua carne
alle ossa, che il fuoco irresistibile ha tutto demolito,
che l’anima prende il volo come un sogno e fluttua nel cielo,
che questo è quel che accade agli esseri umani quando muoiono?