Boezio: o la Consolazione della Filosofia

Piero Boitani
― 17 Luglio 2023

Prendiamo il via da Proclo: che, naturalmente, badava non solo alla filosofia, ma anche, e soprattutto, alla teologia di Platone. Chi a me sembra mettere in pratica la sua teoria delle due «vene» del Timeo è l’ultimo pensatore latino dell’antichità: Boezio.

Boezio viene, certo, dopo che Filone ha trasfuso immagini e concetti platonici nella Bibbia ebraica, soprattutto riguardo alla Creazione, e dopo che Calcidio ha tradotto in latino e commentato buona parte del Timeo. Non mi interessa però qui esaminare il problema della sua conoscenza dei due (o tre, contando Proclo) predecessori. Mi basterà dare per certo il cristianesimo di Boezio, ma anche il suo platonismo, sebbene talvolta venato di tratti aristotelici (Boezio ambiva a conciliare le due correnti). Se si legge la Consolazione della Filosofia con attenzione, ma tutta d’un fiato, si ha la netta impressione che le prose siano decisamente improntate alla corrente «socratica», e le liriche a quella «pitagorica».

L’esempio più eclatante si trova nel Libro III, alla prosa e al metro 9. La prosa è tutta dedicata alla ricerca e alla definizione della felicità (beatitudo), e termina, dopo una serie di ragionamenti sull’impossibilità di ottenere l’autosufficienza con le ricchezze, il potere con i regni, il rispetto con le cariche, la fama con la gloria, e la gioia con i piaceri, con due paragrafi mirabili:

Ecco – dichiara Filosofia – ora hai di fronte sia la forma della felicità falsa, sia le cause di essa. Volgi ora lo sguardo della mente nella direzione opposta; là vedrai subito quella vera, che abbiamo promesso. Ma questa – replica Boezio – la vede anche un cieco e tu me l’hai mostrata poco fa, quando cercavi di chiarirmi le cause di quella falsa. Se non sbaglio, infatti, la felicità vera e perfetta è quella che rende autosufficiente, potente, rispettato, famoso e lieto. E affinché tu sappia che l’ho compreso a fondo, non esito a riconoscere che la piena beatitudine è ciò che può procurare veramente anche una sola di queste cose, poiché tutte quante sono la stessa.

Consolazione III, pr. 9, pp. 110-111.

Filosofia comprende, felice, che il suo allievo ha finalmente capito. Perciò, insiste sino a raggiungere la conclusione logica, una conclusione indicata proprio dal Timeo di Platone:

O allievo, felice te per tale opinione, se però, disse, aggiungi questo. – Che cosa? – dissi. Pensi – domanda Filosofia – che fra queste cose mortali e transeunti ce ne sia qualcuna che possa produrre tale condizione? Decisamente no – dissi – e ritengo che tu l’abbia dimostrato così ampiamente che non posso volere di più. Dunque – riprende Filosofia – esse sembrano offrire immagini mortali del vero bene, o qualche specie di bene imperfetto, ma non possono garantire il bene vero e perfetto. D’accordo – dissi – Poiché dunque hai riconosciuto quale sia la beatitudine vera – insiste Filosofia – e quali quelle che fingono di esserlo, ora non ti resta che riconoscere dov’è che devi andare in cerca di questa, la vera. Boezio lo ammette senza esitazione: È proprio ciò che sto aspettando ormai con ardore – dissi – Ma dato che – dichiara Filosofia – come vuole il nostro Platone nel Timeo, anche nelle minime cose si deve implorare l’aiuto divino, che cosa pensi dobbiamo fare ora, per renderci degni di trovare la sede di quel bene supremo? Dobbiamo – conclude l’allievo – invocare il padre di tutte le cose, perché se non lo facciamo non si può dare inizio a qualcosa in maniera dovuta.

Ibid. pp. 112-113.

Dandogli completamente ragione, Filosofia prorompe allora nel canto. È la lirica più bella dell’intera Consolazione, che vale la pena citare per intero anche nell’originale:

O qui perpetua mundum ratione gubernas,
terrarum caelique sator, qui tempus ab aeuo
ire iubes stabilisque manens das cuncta moueri,
quem non externae pepulerunt fingere causae
materiae fluitantis opus, uerum insita summi
forma boni, liuore carens: tu cuncta superno
ducis ab exemplo, pulchrum pulcherrimus ipse
mundum mente gerens similique in imagine formans,
perfectasque iubens perfectum absoluere partes.
Tu numeris elementa ligas, ut frigora flammis,
arida conueniant liquidis, ne purior ignis
euolet aut mersas deducant pondera terras.
Tu triplicis mediam naturae cuncta mouentem
conectens animam per consona membra resoluis,
quae cum secta duos motum glomerauit in orbes,
in semet reditura meat mentemque profundam
circuit et simili conuertit imagine caelum.
Tu causis animas paribus uitasque minores
prouehis et leuibus sublimes curribus aptans
in caelum terramque seris, quas lege benigna
ad te conuersas reduci facis igne reuerti.
Da, pater, augustam menti conscendere sedem,
da fontem lustrare boni, da luce reperta
in te conspicuos animi defigere uisus.
Dissipe terrenae nebulas et pondera molis
atque tuo splendore mica; tu namque serenum,
tu requies tranquilla piis, te cernere finis,
principium, uector, dux, semita, terminus idem.

Tu che il mondo governi con perpetua ragione,
che hai piantato il cielo e la terra, che al tempo
comandi dal perenne di muovere, che fisso
restando a tutto dai moto, che a compiere l’opera
della fluttuante materia non cause esterne
spinsero, ma insita in te, senza invidia,
del sommo bene la forma; tu che tutto derivi
dall’esempio superno: tu, bellissimo, il mondo bello
nella mente portando a tua immagine formi
e ordini alle parti sue perfette di farlo perfetto.
Con i numeri leghi tu gli elementi, che con la fiamma
il freddo convenga e il secco col liquido, il fuoco
in su non voli più puro, e in giù il peso sommerga le terre.
Tu, la triplice natura dell’anima che nel mezzo risiede
e tutto muove, unendo diffondi per le membra a lei consone
quando, divisa, in due cerchi agglomerò il moto
e torna in sé stessa volgendo attorno alla mente
profonda e muove il cielo con immagine simile.
Tu da cause eguali le anime susciti e le vite minori
e in alto congiungendole a carri leggeri
in cielo e in terra le spargi: con legge benigna
volte a te le fai rivenire col fuoco che torna.
Da’, Padre, alla mente mia di ascendere
alla sede augusta, di contemplare la fonte del bene,
di trovare la luce e in te ficcare lo sguardo dell’animo.
Dissipa le nebbie e i pesi della mole terrena,
e nel tuo splendore risplendi; tu infatti sereno, tu
riposo e pace dei pii: vedere te è il fine e il principio,
motore, guida, via e termine a un tempo.

Consolazione III, m. 9, pp. 111-115.

Dante rinvia a questo metro in Convivio III ii 17 dove vengono da lui tradotti i versi 6-8. Esso è menzionato anche nell’Epistola a Cangrande, 33 (89), nella quale viene citato «il fine è vedere te».

Ut in Timaeo Platoni nostro placet, «come vuole il nostro Platone nel Timeo», aveva detto Filosofia nella prosa 9. Il metro che la segue, il suo canto, è un inno a quel dialogo, e il centro e il cuore della Consolazione.

Il metro fu considerato «veluti quandam epitomen primae partis Timaei» già da Renato Vallino: cfr. F. Klingner, De Boethii Consolatione Philosophiae, Zürich-Dublin, Weidmann, 1966², p. 39;J. Gruber, Kommentar zu Boethius, De Consolatione Philosophiae, Berlin-New York, De Gruyter, 2006², p. 275. Sulla Consolazione, si veda P. Dronke, The Spell of Calcidius. Platonic Concepts and Images in the Medieval West, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2008, pp. 35-69, che spesso seguo qui, nonché la sua Introduzione e il suo commento alla Consolazione nell’edizione VM.

Come del resto si rese conto Guglielmo di Conches, che a questo metro dedicò più di trenta bellissime pagine (nell’edizione moderna) (Gvillelmi de Conchis Glosae svper Boetivm, III, m. 9, 1-735, a cura di L. Nauta, CCCM 158, 1999, pp. 144-179.).

Con l’inizio legato alla tradizione innografica – a Cleante, Proclo e Lucrezio fra gli altri – prende forma nella lirica di Boezio una struttura tripartita di invocazioni, aretalogia e suppliche. Vi ricorrono tutte le immagini e le idee-chiave della sezione cosmogonica del Timeo, in particolare quelle della creazione non mossa da cause esterne, ma, «senza invidia», dalla forma del sommo bene insita nel creatore; e la derivazione dall’esempio superno. La perpetua ratio del governo del mondo, l’impulso al tempo di muovere dal perenne, la bellezza e la perfezione del creatore che divengono, a sua immagine come l’uomo nella Genesi biblica, bellezza e perfezione del cosmo. Compare per un attimo l’icona aristotelica del Motore immobile, accompagnata dall’eco dell’elogio della Sapienza nella Bibbia (Sapienza 7: 27: «et in se permanens omnia innovat»), poi ha campo l’idea, originariamente pitagorica, del legame tra gli elementi stabilito per mezzo dei numeri, e quella dell’armonia e dell’equilibrio imposti agli elementi stessi tramite la philia. Sorge quindi, a dar vita al tutto, l’anima mundi tripartita, in moto circolare, come in Plotino e in Proclo, attorno alla divina «mente profonda», e causa del movimento dei cieli.

Infine la nozione delle vite «minori» e delle anime sui loro «carri leggeri», come nel Timeo e nel Fedro,conduce al «ritorno» di Plotino con l’immagine mistica del «fuoco che torna» e chiude l’aretalogia. I sette versi della preghiera finale costruiscono un crescendo culminante nel «tuo» e nei tre «tu», quindi nella summa di «tu namque serenum, / tu requies tranquilla piis, te cernere finis, / principium, uector, dux, semita, terminus idem»: «tu infatti sereno, tu / riposo e pace dei pii: vedere te è il fine e il principio, / motore, guida, via e termine a un tempo».

Non esiste altra versione lirica del Timeo di pari concentrazione e di pari splendore in tutta la tradizione europea.

Boezio riprende immagini del Timeo in I, m. 5, Stelliferi conditor orbis, e soprattutto in II, m. 8, Quod mundus stabili fide, dove tuttavia introduce la nozione fondamentaledi amor, assente in Platone se non per la philia. La versione di Re Alfredo, un adattamento di O qui perpetua, che trasforma i 28 esametri in 281 paia di emistichi allitterativi, possiede originalità e freschezza immaginative notevolissime: cfr. Dronke, Spell, pp. 58-67


Piero Boitani è stato professore di letterature comparate all’Università “La Sapienza” di Roma e all’Università della Svizzera italiana (USI). Ha insegnato anche a Cambridge, Berkeley, Harvard, Toronto, dove è stato Northrop Frye Professor of Comparative Literature, e alla University of Notre Dame (Indiana). Anglista, biblista, studioso del mito e delle sue riscritture, ha vinto il premio Balzan nel 2016. È direttore letterario della Fondazione Valla.


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