Marco Beck, L’Osservatore Romano
È un Egitto in gran parte fantasioso quello che idealmente si protende verso il lettore dalle prime righe delle Etiopiche di Eliodoro. Un paesaggio trasfigurato rispetto alla realtà pianeggiante del delta nilotico: «Il giorno cominciava appena a sorridere e il sole illuminava le creste dei monti, quando degli uomini armati da briganti sbucarono da una delle colline che dominano le foci del Nilo» (libro I, cap. i, 1). Al sorprendente impatto di un esordio in medias res, anomalo secondo i canoni della retorica greca e latina (la macchina narrativa si metterà in moto subito dopo la pennellata dell’incipit), si aggiunge la suggestione di un panorama fluviale incastonato tra monti e colline del tutto immaginari. Si direbbe che a questa manipolazione del contesto geografico l’autore, nativo di Emesa in Siria e attivo nel iv secolo d.C., attribuisca una valenza allegorica, come a proiettare sugli elementi naturali il colore drammatico della scena che sta per aprirsi in un clima di estrema tensione: sulla riva del fiume «un ammasso di corpi trucidati»; in disparte, una fanciulla «di una bellezza indescrivibile», armata di arco e faretra, china «su un giovane che giaceva ai suoi piedi», gravemente ferito, ma «che anche così splendeva di una bellezza virile». Sono – apprenderemo in seguito – Cariclea e Teagene, perdutamente innamorati l’una dell’altro. Amore e morte, eros e thanatos: quale miscela più romanzesca di questo binomio?
E un romanzo costituiscono in effetti le Etiopiche: l’ultimo romanzo tramandato intatto dalla tarda grecità con la sua grandiosa articolazione in 10 libri. Silvia Montiglio, docente di lettere classiche alla Johns Hopkins University di Baltimora, ne ha allestito un’edizione innovativa, pregevole per intelligenza e ampiezza della visione critica, per fluidità morfologico-lessicale della traduzione, per esaustiva puntualità del commento. Nella collana della Fondazione Lorenzo Valla è per ora disponibile, grazie alla consolidata partnership con l’editore Mondadori, il primo volume, che abbraccia i libri I-IV (pagine clxxxiv-416, euro 50).
Certo, è verosimile che si tratti di una mera coincidenza, vista l’improbabilità di una lettura delle Etiopiche, in originale greco o in versione francese, da parte di Alessandro Manzoni. Furono altri i poeti, narratori e drammaturghi che se ne lasciarono influenzare, soprattutto nel Cinquecento (Tasso) e nel Seicento (Shakespeare, Cervantes, Calderón, Racine). Eppure quell’immagine delle creste montuose che, lambite dal sole nascente, racchiudono una vasta distesa d’acqua, suggerisce un intrigante confronto con una simile ma ben più memorabile ouverture: «Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti […], vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte». I promessi sposi, per l’appunto. L’uscita dell’Adda dal Lario evocata in termini (realistici) non molto diversi dalla descrizione (irrealistica) dell’ingresso del Nilo nel Mediterraneo. Un curioso, ancorché incidentale, rimando da un romanzo del iv a un romanzo del xix secolo.
Ma c’è di più. La siderale distanza cronologica, antropologica e culturale che separa le due epoche e i due romanzieri non impedisce di cogliere altre analogie strutturali, al netto di ovvie distinzioni. Protagonista è, in entrambe le opere, una coppia di fidanzati, per quanto dissimili, dato che Renzo e Lucia non condividono con Teagene e Cariclea nobiltà di lignaggio e fulgore di doti estetiche. Entrambe le “eroine” si votano a una verginità da preservare inviolata fino al traguardo delle nozze, imponendo un regime di rispettosa castità anche ai futuri mariti (mentre minore austerità morale si riscontra in altri romanzi greci, come Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio e Dafni e Cloe di Longo Sofista). Entrambe le coppie affrontano, congiuntamente o separatamente, traversie causate da forze avverse, in primo luogo l’opposizione di uno (Manzoni) o più (Eliodoro) pretendenti al possesso carnale della figura femminile. Entrambi gli epiloghi si risolvono in un lieto fine: a suggellarlo è, in modo speculare, un matrimonio, soltanto accennato nelle Etiopiche, compiutamente sviluppato in dimensione coniugale e familiare nei Promessi sposi.
Riassumere qui nella sua stratificata e intricata complessità una trama costruita su un gioco d’incastri “a scatole cinesi”, sull’avvicendarsi di narratori secondari e terziari innescati dal narratore primario, sull’insinuarsi di molteplici digressioni, risulterebbe un esercizio tanto strenuo quanto velleitario. Destrutturando un impianto che ricorre a frequenti flashbacks e – con metodo pre-shakespeariano – a numerosi subplots, ci si può limitare a una sintesi stringata degli episodi compresi in questa prima tetrade di libri. Cariclea vive in Grecia, a Delfi, come sacerdotessa di Artemide, sotto la tutela di Caricle, suo padre adottivo e sacerdote presso il santuario di Apollo. L’ammaliante fanciulla ignora di essere figlia dei sovrani di Etiopia. Sua madre, la regina Persinna, la espose subito dopo il parto, perché temeva che la bimba, nata con la pelle eccezionalmente bianca, potesse essere considerata il frutto di un adulterio. Durante una cerimonia delfica avviene il fatale incontro fra Cariclea e il tessalo Teagene, atletico discendente di Achille. Coup de foudre, istantaneo reciproco innamoramento. I due giovani si promettono eterno amore con la clausola di una rigorosa castità fino all’agognato sposalizio. Per sottrarli alla gelosa possessività di Caricle, il sacerdote egiziano Calasiri organizza una fuga per mare fino al delta del Nilo, dove la nave dei fuggiaschi viene sbattuta da una tempesta e dove una lite tra i naviganti degenera nella strage i cui tragici effetti avevano colpito, all’inizio della narrazione principale, i briganti che avevano poi rapito Cariclea e Teagene, successivamente capaci di liberarsi. Cala a questo punto il sipario sul libro IV. Infinite peripezie condurranno alla finale agnizione, in Etiopia, della giovane principessa riaccolta dai genitori e concessa in sposa al valoroso fidanzato.
Spiritualità, fedeltà, purezza prematrimoniale, sentimento del sacro (seppure in tre ambiti pagani: ellenico, egizio, etiopico) sono ideali e valori di cui la predicazione protocristiana stava impregnando la decadente civiltà mediterranea. Potrebbe dunque non essere una semplice illazione quanto riferisce lo storico della Chiesa Socrate (sec. v): Eliodoro si sarebbe convertito alla fede in Cristo e, divenuto vescovo di Tricca, avrebbe introdotto in Tessaglia il celibato ecclesiastico.