Marco Beck, L’Osservatore Romano
Atene, 399 a.C.: condannato a morte per presunta empietà e corruzione della gioventù, prima di ingerire la dose letale di cicuta Socrate consegna ai discepoli una straordinaria meditazione sull’immortalità dell’anima, che Platone ricostruirà magistralmente nel Fedone. Londra, 1535: durante la sua prigionia nella Torre, Thomas More, alias san Tommaso Moro, già cancelliere di Enrico viii, che lo farà giustiziare per opposizione allo scisma anglicano, affida a una serie di lettere una sorta di testamento spirituale. Berlino, 1943-1945: coinvolto in una cospirazione contro Hitler e detenuto nel carcere di Tegel, il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer continua, fino alla vigilia dell’impiccagione, a riversare le sue lucide riflessioni sul rapporto tra fede e mondo nelle pagine confluite post mortem in Resistenza e resa.
Arretriamo ora nel tempo, posizionandoci nell’Italia tardoantica in corrispondenza dell’anno 526. In un carcere di Pavia un filosofo e uomo politico caduto in disgrazia condivide, nel bene come nel male, la stessa sorte toccata agli altri tre “spiriti magni” sopra evocati. Con ammirevole coraggio affronta la prospettiva di un’ingiusta esecuzione capitale lasciando alla posterità un capolavoro letterario, summa di un pensiero filosofico-teologico capace di armonizzare con ampiezza di vedute platonismo e aristotelismo, neo-platonismo e proto-cristianesimo: un’opera mista di prosa e poesia, destinata a irrorare e fecondare le radici della scolastica medievale. Il nome completo di questo martire della libertà intellettuale moralmente vittoriosa sulla violenza del potere assoluto è Anicio Manlio Torquato Severino Boezio. E De consolatione philosophiae s’intitola il suo luminoso “prosimetro”, lettura di culto per il giovane Dante, che nella Commedia avrebbe innalzato Boezio al quarto Cielo, quello del Sole, tra gli spiriti sapienti (Paradiso x 124-129).
A un insigne medievalista britannico, Peter Dronke, la Fondazione Lorenzo Valla aveva, tempo addietro, commissionato la curatela dell’opus magnum boeziano per la collana degli “Scrittori greci e latini”. Tre anni dopo la scomparsa di Dronke, l’editore Mondadori dà ora alla luce il frutto postumo del suo impegno: Boezio, Consolazione della filosofia (pagine lxxx-384, euro 50). Fondamentali, nell’economia di questa nuova edizione, i contributi di Michela Pereira, che oltre alla prosa latina della Consolatio ha tradotto con pari efficacia anche l’introduzione e il commento di Dronke, e di Piero Boitani, autore di una duttile versione italiana dei trentanove carmina che intarsiano il tessuto prosastico secondo molteplici schemi metrici e registri espressivi, dal puro lirismo alla sensibilità ecologica, dalla visionarietà metafisica all’effusione della preghiera.
Una folgorante ascesa verso le alte sfere della cultura e della politica fu consentita a Boezio da un favorevole intreccio di fattori: nascita aristocratica (Roma, 480 ca), possesso di svariati talenti, adozione in seno alla famiglia di Simmaco, autorevole senatore cristiano di cui sposò la figlia, studi filosofici perfezionati ad Atene con lo sguardo rivolto in particolare a Platone e al suo Timeo, traduzione ed esegesi di opere di Aristotele e Porfirio, eclettismo attestato da erudite incursioni nei campi della musica, della matematica, dell’astronomia e della teologia (Opuscula sacra). Stimato collaboratore del re ostrogoto (e ariano) Teodorico, ricoprì cariche prestigiose alla corte di Ravenna. Console nel 510, ebbe la gioia di veder assurgere al consolato nel 522 anche i due figli. Improvviso e fatale, nel 525, il fendente del destino: bersaglio di una congiura anti-senatoria, accusato di tramare contro il sovrano d’intesa con l’imperatore di Bisanzio, venne incarcerato senza processo a Pavia, in attesa di essere consegnato al carnefice per implacabile decisione dello stesso Teodorico.
Ed è appunto come un innocente in preda all’angoscia che Boezio si autorappresenta all’inizio della Consolatio. Ma ecco apparire – colpo di genio narrativo – una prodigiosa figura femminile, sospesa fra terra e cielo, che si offre in veste di interlocutrice e guida per fargli intraprendere un percorso “protrettico”, in sostanza “psicoterapeutico” ante litteram. In lei l’infelice morituro riconosce la propria «nutrice», la personificazione di «colei di cui aveva frequentato la casa fin dall’adolescenza, Filosofia». Nasce così un climax di purificazione mentale e spirituale, un processo di graduale risanamento interiore, di riscatto del pensatore annichilito dalla sventura, di elevazione – al tempo stesso argomentativa e contemplativa – verso la conquista delle consolanti verità supreme in comunione con il Dio del Cristianesimo (benché Cristo non figuri mai nominato).
Questa “scala consolatoria”, antesignana dell’itinerarium mentis in Deum di san Bonaventura, si articola in cinque libri e si caratterizza per una vivace struttura dialogica improntata al metodo socratico della maieutica. Interrogando sapientemente l’allievo Boezio, la maestra Filosofia lo stimola a estrarre dalla sua stessa ragione, a rigore di logica, le soluzioni giuste rispetto a ogni più ardua questione esistenziale.
Il primo risultato conseguito dall’intervento di Filosofia, con alterno ricorso alla rampogna e alla tenerezza, è l’uscita di Boezio dalla crisi di sconforto e autocommiserazione, premessa per il recupero di una serena autostima (Libro i). Un bilancio oggettivo dimostra che la mutevolezza della Fortuna produce beneficî morali anche quando risulta avversa (Libro ii). La felicità non consiste nel godimento di falsi beni quali «ricchezze, onori, potere, gloria, piaceri». I concetti di «beatitudine» e di «sommo bene» trovano la loro sintesi perfetta nell’identificazione del summum bonum con Dio, principio e fine ultimo di tutte le realtà (Libro iii). Esiste il male nel mondo, ma i malvagi sono impotenti a raggiungere il bene, appannaggio esclusivo dei buoni. Il fato è uno strumento subordinato al volere della Provvidenza divina, «che tutto dispone» (Libro iv). Non c’è conflitto fra la prescienza divina e il libero arbitrio umano, perché Dio «vede tutte le cose nel suo presente eterno», e quindi «lo stesso evento futuro, se viene riportato alla conoscenza divina, è necessario, mentre, se lo si considera nella sua natura propria, appare assolutamente libero» (Libro v).
«Da’, Padre, alla mente mia di ascendere / alla sede augusta, di contemplare la fonte del bene, / di trovare la luce e in te fissare lo sguardo dell’animo»: questa l’appassionata invocazione con la quale Boezio conclude l’inno O qui perpetua mundum ratione gubernas, al centro del Libro iii. È cosa buona e giusta immaginare che il Padre, accogliendolo al di là del martirio, lo abbia esaudito.