Barbara Castiglioni, Il Giornale
Nel suo Lacrime e santi, pubblicato nel 1937, Emil Cioran, forse il più credente degli scettici, scriveva che sono i santi, i «mistici, ad accompagnare il destarsi delle lacrime che dormono nel più profondo di noi»; e aggiungeva poi: «al giudizio finale verranno pesate solo le lacrime».
Uno dei punti focali della religione cristiana era – ed è – la venerazione dei martiri, cioè di quei cristiani che disposti a sacrificare le loro vite per testimoniare la propria fede in Cristo; la parola greca martys significa appunto «testimone», e con questa accezione venne usata negli scritti cristiani a partire dal II secolo. Nonostante le passioni di martiri romane siano opere di fantasia, costituiscono un documento storico di eccezionale importanza per conoscere l’ideologia religiosa dell’epoca in cui vennero composte, come spiega Michael Lapidge nella sua introduzione ai Martiri di Roma (Fondazione Valla, € 50): il rifiuto continuo e insistito di tutti gli aspetti delle pratiche pagane, in particolare l’adorazione e il sacrificio agli idoli; l’obbligo di sottoporsi al battesimo; la necessità di seguire l’astinenza, la purezza fisica, la verginità. Questi testi gettano luce anche sulle credenze popolari del tempo in cui sono stati composti: ad esempio, che le strade del cielo fossero lastricate d’oro; che gli edifici che vi erano eretti fossero ricoperti di gemme; oppure che la digestione del cibo in paradiso non producesse escrementi.
I martiri di cui si parla in questo volume, da San Sebastiano a Santa Cecilia, da San Felicita fino a San Clemente, oltre a rappresentare un memorandum per i nomi delle sontuose rovine a cui rinviano – dai cimitero di Priscilla alle catacombe di Callisto, sulla Via Appia, passando per Santa Cecilia a Trastevere fino a quello che è, forse, il colle più struggente di Roma, il Palatino – sono tra i più celebri della tradizione cristiana. Le passioni raccontano, di norma, prima le vite, e poi, in modo particolareggiato, le sofferenze a cui i martiri furono costretti, sempre accompagnate da sbalorditivi avvenimenti. Nella passione di Clemente, ad esempio, il santo viene lasciato annegare con un’ancora legata al collo, e il mare, «prodigiosamente si ritirò di tre miglia, il che permise ai cristiani di trovare il suo corpo e di collocarlo in un sarcofago; il mare continuò a ritirarsi ogni anno nel giorno della festa del santo, e così la comunità cristiana poté continuare a praticare il suo culto». Cecilia, invece, viene rinchiusa in un bagno pieno di vapore, non suda e non è affaticata, e riesce anche a sfuggire alla decapitazione e a sopravvivere per tre giorni, mentre il popolo asciuga il suo sangue con pezze di tela. Perché in fin dei conti, che le passioni dei martiri siano opere di fantasia, non è così importante. Sono più importanti quelle fulgide, scintillanti immagini della sconfitta della morte, che grazie ai martiri si trasforma in vita: come «i prati divini che si colorano del colore delle rose per il mistero del fiammeggiante sangue di Cristo».