L’approccio ai cosiddetti presocratici è simile a un lavoro di restauro di un affresco di cui, però, sono rimasti solo pochi frammenti offuscati e confusi dallo scorrere dei secoli e dagli interventi di altre mani. Il primo passo è dunque quello di partire dallo strato superficiale più riconoscibile e vicino a noi, cioè il modello ideale e globalizzante della Grecia arcaica e classica, sviluppato e propagato nella cultura occidentale dalla fine del ‘700 in poi, come di un’unità culturale compatta e uniforme, che si estende dalla Ionia alla Magna Grecia e la Sicilia, con Atene come fulcro e centro di irradiazione. Tuttavia, quest’immagine, ancora oggi prevalente, della Grecia come culla di libertà, democrazia, filosofia e razionalità, faro di cultura e progresso per il mondo a venire, si regge sui motivi della propaganda politica e culturale ateniese del V sec. a.C.
Lo schema che collega questo ieri al nostro oggi, politico, filosofico e tecnologico, è quello evoluzionistico, sinergico alla visione classicistica ed emergente nello stesso periodo di fine ‘700, ma anch’esso con radici ateniesi. Questa volta il modello è l’ambiente culturale di IV sec. a.C., in particolare Aristotele che considerava la sua filosofia il culmine di tutte le ricerche precedenti presentando queste ultime come maldestri tentativi di costruire un “sistema” somigliante al suo. Da allora tante sue copie, più o meno fedeli, si sono succedute nei secoli fino ai vessilliferi delle ultime “conquiste” culturali, scientifiche, tecnologiche; davvero “culmini” anch’essi?
Da Aristotele in poi, i cosiddetti presocratici, per la maggior parte rappresentanti di una sapienza che andava già allora scomparendo dalla scena principale della cultura greca, sono diventati pezzi da museo: autori estremamente diversi per area geografica, cultura e scopi della loro attività si sono trovati allineati sullo sfondo asettico e indistinto della storia della filosofia che si evolve secondo le leggi della storia da un grado inferiore ad uno superiore di sviluppo del pensiero o dello “spirito”. Tutti sono diventati “filosofi” nel senso aristotelico e moderno: teorici speculativi che, se pure in maniera nebulosa, hanno formulato dottrine sulla natura e sui suoi principi sviluppate poi nelle loro massime potenzialità nei grandi sistemi, platonico e, soprattutto, aristotelico e nelle filosofie ellenistiche e di età imperiale. Figure attive in contesti culturali diversi e con finalità differenti fra loro sono state completamente depauperate della loro essenza e i loro testi reinterpretati e adattati nell’ottica evoluzionistica del senno di poi. È dunque impossibile percepire qualcosa del loro messaggio? Forse, ma vale la pena tentare, con la massima onestà, di captare almeno qualche richiamo o anche solo avvertire un lontano profumo di questa sophia così profonda e fondamentale per la vita di allora, come di oggi.
La prima cosa da fare è dunque esaminare criticamente i concetti fondamentali su cui si basa l’interpretazione classicistica ed evoluzionistica moderna della storia della filosofia. La seconda è quella di liberare i singoli autori dalle gabbie concettuali loro imposte dalle interpretazioni posteriori di Platone, Aristotele e delle scuole filosofiche antiche, ma anche dalle etichette loro applicate, sulla stessa falsariga, dagli interpreti moderni.
Un ultimo passaggio consiste nell’inquadrare i singoli autori nel loro specifico contesto geografico e storico-culturale ricorrendo a testimonianze coeve da vari ambiti: epigrafiche, archeologiche, storico-religiose, letterarie. In questo tentativo di ricostruzione rientra anche la rivalutazione di alcuni dettagli biografici considerati per lo più mera invenzione dei biografi ellenistici, ma, invece, rilevanti ai fini della contestualizzazione dei singoli autori e della loro attività. Solo dopo quest’opera di ripulitura e di ricollocazione nei singoli contesti (anche il luogo dove stanno le rovine può ancora parlare), si può tentare di leggere i frammenti e le testimonianze da un’ottica “altra” rispetto a quella “museale”.
Cosa rimane dunque? Un panorama variegato, con diversi orientamenti a seconda del personaggio, del luogo e del periodo. Accanto a una sapienza di indirizzo tecnico, orientata alla pratica o ai bisogni della comunità, come quella di Talete e Anassimandro, cui non sono estranei echi delle culture mesopotamiche ed egizie, troviamo quella erudita e globale del poeta itinerante Senofane, esule dalla Ionia dopo la conquista persiana e in concorrenza con i rapsodi omerici ed esiodei alle corti dei tiranni siculi o nelle città magno-greche.
E poi, ecco il sapiente per eccellenza, l’uomo-dio Pitagora, importatore di pratiche e sapienza straniera, anche molto lontana, capace di compiere viaggi nell’aldilà per riportarne messaggi e benefici per la comunità; Pitagora, autore di imprese straordinarie, ma anche fondatore di una pratica di vita ritualizzata al servizio del divino e finalizzata alla liberazione dell’anima dal ciclo delle rinascite. È proprio il suo insegnamento a gettare le basi per una scienza consapevole, profondamente radicata nel sacro e rispettosa del divino che si manifesta nei fenomeni naturali e a favorire le varie forme di sapienza di singoli pitagorici emergenti nel V sec. a.C.; e sono le comunità pitagoriche ad aver condizionato profondamente in questo stesso periodo la vita politica di Crotone e delle città magno-greche.
Infine troviamo Eraclito di Efeso, enigma vivente come l’oracolo di Delfi, che rivela l’unità sottesa a quelle che gli uomini vedono come manifestazioni opposte nella natura, nelle loro istituzioni e in loro stessi; Eraclito, profeta che grida con bocca delirante come la Sibilla la verità sui mortali, proclama una sapienza libera dalle sovrastrutture e dalle consuetudini umane, denuncia la stoltezza dei suoi concittadini. È lo stesso Eraclito, strenuo difensore delle tradizioni della sua città, a mostrare, nel contempo, anche la conoscenza di aspetti delle culture mesopotamiche, persiana ed egizia penetrate in Efeso in particolare dopo la conquista persiana.
I sentieri di sapienza attraverso la Ionia ci portano, dunque, anche oltre, ben fuori dall’orbita ateniese, in Magna Grecia, lungo la rotta di Pitagora, ma anche verso Mesopotamia, Persia ed Egitto, lungo le vie commerciali degli Ioni, le stesse attraverso cui è avvenuta la penetrazione in senso inverso dei grandi regni vicino-orientali nel loro territorio.
Le voci che si levano da questi itinerari, ora intersecantisi, ora divergenti, ci forniscono delle chiavi; sta a noi trovare la porta giusta e, soprattutto, aprirla.