Tra il 13 e il 28 luglio di quest’anno la Valla ha perso i suoi due pilastri, Pietro Citati e Antonio Bucarelli. In un paio di settimane questi due nonagenari ci hanno lasciato, senza fragori, quasi come per il maturare del tempo concesso a ciascuno, l’uno nel sonno, l’altro dopo aver dettato una lettera per gli amici dall’aldilà.
Dico qualche parola di entrambi.
A Pietro Citati, che non per niente l’anno scorso abbiamo, contro la sua volontà, eletto Presidente Fondatore, la Valla deve la sua stessa esistenza, la sua impostazione, il suo sviluppo. A lui, sebbene ne faccia all’apparenza poco conto, l’Italia deve la nascita di questa collana straordinaria ormai settantenne dedicata ai classici greci e latini: per i quali s’intende opere scritte in quelle lingue in epoca classica, ma anche nel Medioevo, e tra poco perfino del Rinascimento. E poiché alcuni dei nostri volumi – che so, Niceta Coniata, Sulle nature dell’universo di Giovanni Scoto, Beda, l’Odissea, Erodoto, le Metamorfosi di Ovidio, il Timeo – non hanno riscontro vuoi per l’edizione, vuoi per il commento, in altri paesi, è il mondo intero a beneficiare dell’invenzione di Pietro Citati.
Inutile rifare qui la storia della Valla o tentare di schizzare un profilo di Citati il critico, uno dei maggiori, comunque, degli ultimi cinquant’anni. Ho tentato di fare entrambe le cose in due successivi interventi sulla Domenica del Sole 24 Ore dell’agosto passato, e soltanto due giorni fa è uscito per Adelphi il suo primo volume postumo, La ragazza dagli occhi d’oro. Tutti gli dobbiamo qualcosa sia come intellettuali che come consiglieri o soci della Valla. Io, in particolare, gli sono debitore dell’elezione d’imperio che eseguì nel 2005 quando mi annunciò che avrebbe compiuto poco dopo 75 anni, che perciò lasciava la direzione e che voleva la prendessi io. «Ma io non sono un classicista», gli obiettai, e lui: «Appunto! Io non voglio un classicista. I classicisti hanno i paraocchi». Mi ingiunse di decidere presto, cosa che feci. Erano un onore non comune e un peso talvolta soperchiante.
Di lui come critico e scrittore hanno detto e diranno in tanti, me compreso. La dedizione di quest’uomo alla lettura e allo scrutinio dei grandi testi è commovente. Sino all’ultimo, perché di due giorni fa è l’uscita della Ragazza dagli occhi d’oro, il suo ultimo libro dal titolo balzachiano, per i tipi di Adelphi, che è una summa del suo sapere. Un dono prima della partenza, una testimonianza finale da questa parte.
Vorrei dire una parola di lui come uomo. Pietro Citati era severo, talvolta irritabile, disdegnoso, impaziente, fortemente ‘opinionated’. Un megalopsychos, un magnanimo in termini aristotelici e danteschi.
Con me, è sempre stato di una gentilezza e di un’attenzione senza fine. Mi chiamava ‘lo sventurato’, dopo l’incidente del gennaio scorso, finché ha potuto parlare. Vederlo decadere lentamente, dopo quel 90° compleanno che diversi di noi celebrammo a casa sua, è stata una lezione quasi insopportabile e certo indimenticabile.
Conoscevo meno bene Antonio Bucarelli, il gigante buono, il vero nume tutelare della Valla, dal vocione romanesco. Padrone delle vie contabili e legali, era furbo come Ulisse e forte come Aiace Telamonio. Difendeva la Fondazione con le unghie e con i denti, architettava modifiche di statuto, faceva da intermediario con la Mondadori. È stato fondamentale per aiutarci a superare i mesi peggiori della nostra crisi, tra il 2020 e il 2021. Non era soltanto un ragioniere sopraffino, ma anche un notevole uomo di cultura, che lavorava per noi perché aveva una passione per i libri. Buona parte dei nostri, li leggeva. A un certo punto, scoprii che leggeva i miei, e iniziai a farglieli mandare. Solo un uomo dallo spirito saggio e libero come il suo, e dall’evidente umorismo, avrebbe potuto dettare quell’Ultima Lettera prima di varcare la soglia come se l’avesse già varcata. Un gesto alla Borges, senza malinconie: «Cari amici, domani sarò morto». Grazie, dottor Bucarelli: ricevuto. Non la dimenticheremo.