Un ricordo di Pietro Citati

Rosita Copioli
― 14 Agosto 2023

Pensavo a un modo che potesse fare piacere a Pietro Citati, di essere ricordato. Qualcosa che gli aveva dato gioia. Mentre nuotavo nel nostro Adriatico – l’acqua libera i pensieri, scioglie i nodi – mi è venuto in mente che tra le sue soddisfazioni ci fu quella di ricambiare l’amicizia con Federico Fellini, in occasione del centenario del 2020. Erano stati amici per vent’anni, da quando Citati aveva mandato a Fellini i primi volumi della Valla. Due suoi ultimi testi su Fellini, insieme ad altri più lontani, compaiono nella Ragazza dagli occhi d’oro, l’ultimo libro, che proprio il 27 luglio, il giorno prima della sua morte, Roberto Colajanni aveva deciso di fare uscire con Adelphi entro il 2023 (come mi scrisse la stessa sera Giorgio Pinotti, in uno scambio di sincronie che turba, anche perché poche ore dopo Citati morì, e l’uscita del libro fu anticipata).

I ricordi e le riflessioni vi obbediscono a un ritmo più sfrenato, fantasioso, ardente. L’entusiasmo e l’affetto alza cortocircuiti di critica analogica dove impera il gioco delle contraddizioni che Fellini era, insieme a un tragico nascosto. Sono testi spiritosi, oltre l’ardito, che sconcertano le leggi del principio di non contraddizione (Giorgio Ficara lo osservò con sorpreso divertimento), e volano oltre le nuvole insieme alle immagini più vere, essenziali dell’amico, che abitava l’altrove come Kafka, il “loro” Kafka trasparente come i sogni. Citati esordiva dicendo che era vero scrittore, uno dei veri scrittori italiani. Non aveva torto. Quando si potranno leggere insieme gli scritti di Fellini, non solo Fare un film, o Giulietta,ma le tante pagine sparse nelle interviste che scriveva lui stesso, si vedrà quanto ciò sia giusto. Poi scivolava nei racconti, scorrendo tra i film e i loro incontri, con passaggi fulminei e appassionati.

Era successo che nel 2019, in preparazione del centenario di Fellini, avesse avuto l’idea di preparare un progetto con me, che stavo per pubblicare Gli occhi di Fellini. Ne aveva parlato con Eugenio Scalfari, e aveva preso appuntamento con lui e con Carlo Verdelli, allora direttore di Repubblica. Il 19 giugno Scalfari ci ricevette, e del gran progetto a puntate che avevamo pensato, disse che gli sarebbe stato dedicato un intero numero di Robinson, affidato a Dario Olivero. Naturalmente il colloquio non riguardò solo Fellini. C’era l’aria del vecchio sodalizio. Scalfari aveva della letteratura un’idea molto alta, e aveva chiamato Citati a Repubblica dopo la morte del comune amico Calvino. Era stato il migliore dei direttori. Citati aveva scritto dell’immaginazione, dell’apertura, della varietà dei sentimenti di Scalfari, con cui aveva avuto un rapporto «incomparabile: non avevo mai incontrato un direttore simile. Parlavamo di tutto. Io scrivevo articoli, e lui li commentava: lui scriveva articoli, e io li commentavo, con uno scambio piacevolissimo. Mi faceva obiezioni, e io gli facevo obiezioni. Era un rapporto pieno di fiducia, di confidenza, di dubbi e di discussioni e di inquietudini. Scalfari non fu mai scettico né paternalistico né aggressivo: era preciso, grave, scrupoloso». Il colloquio riguardò anche molti temi familiari. Mi colpì la naturalezza con cui Scalfari ce ne parlava con una voce divenuta sottile, ma distintissima, e un eloquio senza interruzioni, in un modo affettuoso, avvolgente, diffuso. Si estendeva a tutto, toccandone tutti i gradi, dal più umile a papa Francesco, ed effondendosi a noi. Era l’esperienza conciliativa dei sentimenti che comunicava, e che il film delle figlie ha saputo ben rendere: di un grande narciso elegante, il quale, più era narciso, più riusciva a non esserlo, e viceversa. In quel momento aveva 95 anni, e si complimentò col più giovane amico, che ne aveva soltanto 89, portati benissimo. Fu l’ultima volta che si incontrarono. Scalfari sarebbe morto il 14 luglio 2022, precedendo Citati di due settimane.

Subito dopo, con Verdelli, Citati fece un exploit. Una vera e propria esibizione d’arte oratoria per difendere il progetto, per cui mi presentava come massima esperta. Avrebbe convinto anche il più irriducibile nemico di Fellini, se mai Verdelli lo fosse stato, e non lo era… Passammo il pomeriggio in visita a Enrica Scalfari per scegliere le foto di archivio che dovevano accompagnare La voce della luna, dove lei, amica di Fellini, era stata sul set, come fotografa non ufficiale, e ne sarebbe scaturito anche un bel racconto, che pubblicai in seguito su Repubblica.

Il progetto, per il quale volli coinvolgere Gérald Morin, che era stato collaboratore e segretario di Fellini da Roma al Casanova – era il giovane ex gesuita al quale Fellini consigliava di imparare l’italiano leggendo l’amatissimo Citati, a partire da Il tè del cappellaio matto (1972) – diventava man mano più corposo, pieno di inediti, un vero libro con autori internazionali che non sarebbe stato male pubblicare. Perciò fu un’estate molto eccitante, per quanto riguardava la tessitura di un Fellini a puntate, e le macchinazioni più complesse, per escogitare il meglio del meglio, il più inaudito. Un gioco avventuroso sollecitato da quel principio del piacere e dell’avventura che è Fellini. Il quale, come sa benissimo Oscar Iarussi, direttore di questo giornale, e Fellinologo doc, scatena sempre la gioia dell’infanzia quando ci si mette sulle sue tracce. Citati si abbandonò al piacere immaginoso che Fellini gli aveva sempre trasmesso, nella natura più profonda del pensiero creativo. Era un’intesa che non doveva finire mai.

Tra i molti scritti che aveva dedicato a Fellini, c’erano anche due recensioni di film: E la nave va e La voce della luna. Casualmente quest’anno, 2023, affiora per Fellini una singolare trama di scansioni decennali, fino alla morte, il 31 ottobre 1993. Giù giù eccole: 1983 E la nave va; 1973 Amarcord; 1963 8 e mezzo; 1953 Agenzia matrimoniale da L’amore in città, e I vitelloni; 1943 il matrimonio con Giulietta Masina… Di questa trama, molto più ricca di sincronie significative dal punto di vista storico, ho scritto altrove.

Il testo di Citati su E la nave va, film che può essere visto come una fusione di profezie, insisteva sulla luce del tramonto, dove le cose giungono al massimo del loro splendore, che forse significa soltanto rinascita, sulla misteriosa leggerezza con cui Fellini domina le ombre, «alzando un sipario dopo l’altro, un velame dopo l’altro, nei suoi confortevoli abissi». È qualcosa che si può applicare anche all’ultimo libro di Citati, La ragazza dagli occhi d’oro, alle sue scintille: «incandescenti e incantevoli razzi di fiamma, caldi e colorati, come Fellini li ama».


Una versione più ampia di questo articolo è uscita su La Gazzetta del Mezzogiorno del 27 Luglio 2023


Rosita Copioli ha pubblicato libri di poesia, prosa, saggi, drammi, testi storici; ha curato e tradotto opere di Saffo, Yeats, Leopardi, Goethe, Flaubert, Fellini, e ha diretto la rivista di poetica «L’altro versante». Tra i libri di poesia: Splendida lumina solis; Furore delle rose; Elena; Il postino fedele; Le acque della mente; Le figlie di Gailani e mia madre; Elena Nemesi. Tra quelli di prosa e saggi: Tradurre poesia; Narrare; Tradizioni della poesia italiana contemporanea; I giardini dei popoli sotto le onde; Il fuoco dell’Eden; Ildegarda oltre il tempo; La previsione dei sogni; Il nostro sistema solare; Gli occhi di Fellini; La voce di Sergio Zavoli; Simbolo.


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