Antonio Carioti, Corriere della Sera
Ciò che più colpiva in Pietro Citati, scomparso il 28 luglio all’età di 92 anni — è morto nella sua casa di Roccamare, nel Grossetano, dove hanno vissuto anche Italo Calvino e Carlo Fruttero — era la versatilità con cui, nel suo lavoro di critico letterario, riusciva a spaziare tra le epoche, i generi e gli autori più diversi. Dalle opere della classicità greco-romana ai mostri sacri dell’Ottocento russo, dai testi evangelici a Giacomo Leopardi e Franz Kafka. Una sua specialità erano le biografie dei grandi scrittori in forma narrativa: non a caso sulle pagine culturali del «Corriere della Sera», dove aveva scritto a lungo in due fasi diverse, aveva esordito anticipando parte del suo fondamentale saggio Immagini di Alessandro Manzoni (Mondadori 1973).
Era un finissimo interprete degli autori di cui si occupava, esemplare per la capacità di coniugare assoluto rigore filologico e acuta introspezione psicologica. Non a caso, per due biografie Citati aveva ottenuto prestigiosi premi: il Viareggio nel 1970 con il suo Goethe (Mondadori, 1970; Adelphi, 1990) e lo Strega nel 1984 con Tolstoj (Longanesi, 1983; Adelphi, 1996). Altri riconoscimenti gli erano stati assegnati anche all’estero, per esempio in Francia, in Spagna e in Brasile.
Nato a Firenze il 20 febbraio 1930 in un famiglia siciliana di stirpe aristocratica, laureato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Citati non aveva seguito una regolare carriera accademica. La sua stessa passione per la lettura era sbocciata spontaneamente, non da studi sistematici, quando la sua famiglia si era trasferita da Torino in Liguria nel 1942, durante la Seconda guerra mondiale, per sfuggire ai bombardamenti. Allora, dodicenne, aveva cominciato a leggere e approfondire da autodidatta un po’ di tutto: romanzi, poesia, ma anche i dialoghi di Platone. Più tardi, dopo la laurea, aveva insegnato per qualche tempo italiano nelle scuole professionali, per poi intraprendere la carriera del critico letterario, sulle orme di maestri come Emilio Cecchi, Giovanni Macchia e Mario Praz. Sin dalla metà degli anni Cinquanta aveva frequentato lo scrittore Carlo Emilio Gadda, per il quale aveva maturato un’autentica venerazione. LEGGI ANCHE
Ai molti articoli su riviste come «Il Punto», «L’approdo» e «Paragone», era seguita negli anni Sessanta la collaborazione organica di Citati con il quotidiano «Il Giorno», sul quale a volte scriveva solenni stroncature. Nel 1970 il primo libro Goethe, subito premiato. Quindi, tre anni dopo, l’esordio sulla terza pagina del «Corriere». A parte l’anticipazione del saggio su Manzoni, colpisce che il primo articolo di Citati fosse dedicato all’immaturità degli italiani. Lo colpiva che tanti giovani talenti, in ogni campo di attività, andassero dispersi per carenza di «passione intellettuale» o di «forza di concentrazione». E ancor più lo addolorava lo spettacolo di persone che invece, dopo essersi affermate, dormivano sugli allori, incantate dal proprio narcisismo. Non gli era estraneo dunque l’interesse per la vita sociale italiana e per le sue magagne, anche se centellinava gli interventi sulle vicende politiche, solitamente molto severi, anche se in tono ironico, verso la classe dirigente.
In un’intervista rilasciata nel 1984, dopo aver vinto lo Strega, Citati dichiarò che detestava due padri della patria sempre omaggiati: il comunista Palmiro Togliatti, per il cinismo saccente, e il democristiano Aldo Moro, per il suo spirito compromissorio.
Il mondo più congeniale a Citati era però pur sempre la letteratura, in particolare le opere più famose, che amava esplorare con l’attitudine dello speleologo che si cala nelle profondità del sottosuolo: «Un grande libro — diceva — è composto di tanti strati: si tratta di scoprire quello più nascosto». Inoltre riteneva che i classici avessero la dote di trasmettere sensazioni e messaggi nuovi a ogni generazione che vi si accostava e vi si accosta: «Penso che i libri si muovano nel tempo. Non sono sempre gli stessi, hanno aspetti diversi secondo i secoli. Mentre noi siamo fermi e dobbiamo cercare di capire il movimento dei libri».
Il valore dell’ingegno di Citati era stato riconosciuto anche con la pubblicazione, nel 2006, di un Meridiano Mondadori composto di suoi scritti, intitolato La civiltà letteraria europea, a cura di Paolo Lagazzi. Ma non era un tipo che gradisse più di tanto gli omaggi, anzi si riteneva sostanzialmente estraneo alla «società letteraria», al mondo dei premi e dei convegni.
Si definiva «preciso e pedantesco» quando si trattava di applicarsi a un’opera, ma anche «assoluto dilettante» di fronte a molti argomenti. In fondo il critico, osservava, non è altro che «una foglia o un piccolo ramo di un’immensa pineta». Amava molto la cultura antica e aveva a lungo diretto la prestigiosa collana Scrittori greci e latini della Fondazione Lorenzo Valla. Lo affascinavano le antinomie riscontrabili in quel patrimonio immenso sui temi più vitali per la l’uomo. Per esempio il bipolarismo tra determinismo e libertà: «Almeno in apparenza il destino omerico non è rigido né ferreo, ma doppio, oscillante, e sempre sul punto di venire sconfitto. Qualche volta, ci sembra una possibilità, piuttosto che un fato», si legge nel suo libro La mente colorata (Mondadori, 2002; Adelphi, 2018) in cui tratta dell’Odissea.
Un’altra dote di Citati era la capacità di portare questa profondità e ampiezza di riflessione anche sui quotidiani, con i tempi e gli spazi che quella sede comporta. Nel 1988 era passato dal «Corriere» a «Repubblica», poi era tornato a via Solferino dal 2011 al 2017, infine aveva ripreso a scrivere per il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Ogni volta nella piena consapevolezza della sfida che aveva di fronte e che sembrava esaltarlo: «La cultura di un recensore – notava – è febbrile, improvvisata, minacciata dal tempo e dalla impazienza del redattore capo, che vuole l’articolo per un giorno preciso».
La sua prosa era limpida e scorrevole. Sapeva catturare l’attenzione anche quando affrontava argomenti molto complessi e personaggi sfaccettati, il che gli permetteva di rivolgersi a un pubblico vasto, come dimostra il successo presso i lettori di alcuni suoi libri, come quello dedicato a Franz Kafka nel 1987. Anche in età avanzata non aveva smesso di produrre opere di notevolissimo impegno. Ricordiamo tra le più recenti: Leopardi (Mondadori, 2010); I Vangeli (Mondadori, 2014); Il silenzio e l’abisso (Mondadori, 2018).