Graziella Pulce, Il Manifesto
Acquattato nel punto centrale de Il male assoluto Pietro Citati aveva posto «l’abitante della tana», l’uomo che vive nel sottosuolo e ne percorre gli anditi più bui in perfetta sicurezza, «prigioniero della voce rabbiosa e beffarda che l’autore gli ha costruito intorno, la voce che è la sua unica possibilità di esistenza e di espressione, e insieme una prigione più compatta di qualsiasi carcere».
NELLE PAGINE dedicate alle Memorie dal sottosuolo Citati ha dunque fornito un ritratto di Dostoevskij sul quale è possibile ricalcare il ritratto di Citati stesso. Se il protagonista delle Memorie è «il primo uomo vuoto che sia apparso nella letteratura moderna», Citati, saggista stimatissimo e ascoltatissimo (nato a Firenze nel 1930 e scomparso ieri a Castiglione della Pescaia), è stato il critico capace di fare spazio ai testi nelle sue pagine per farne risuonare con la propria scrittura le corde più segrete, ma anche, novello Ermes, dio dei viaggi e accompagnatore delle anime, di alternare la familiarità con la luce con complicità degli abissi, e di portarsene dietro i relativi segni e lasciti.
Esordisce come critico militante (il magistero di Cecchi fu certo determinante), ma poi passa ad orizzonti più ampi, che comprendono i classici e le letterature moderne, il mito e le religioni. Nel ’60 dirige i «Cento libri per due secoli di letteratura», la rubrica del Giorno che lancia un progetto pionieristico: agili schede, redatte nella prosa scintillante di Manganelli e Garboli, di cento libri proposti – da notare – in edizioni e prezzi accessibili. Tra questi Il pasticciaccio dell’amico Gadda.
Le sue recensioni, e ancor di più le sue biografie (dedicate a Tolstoj, premio Strega 1984, Goethe, Proust, Kafka, Manzoni, Mansfield), hanno mantenuto sempre un registro eminentemente narrativo e il tono affabulatorio di chi non presuppone da parte del lettore alcuna erudizione, lui eruditissimo, che per verificare un semplice dettaglio spendeva ore e giorni e non si decideva a mettere nero su bianco finché la sua personale memoria non fosse convalidata dal documento, il testo che magari aveva in casa e che non saltava fuori.
E la gioia infinita quando ciò avveniva è paragonabile solo a quella di un bambino che ritrovi il suo giocattolo preferito. È grazie alle sue ricerche e al suo Leopardi, ad esempio, che si è potuto dare nome scientifico al male che affliggeva il poeta recanatese. Come l’amico fraterno Calvino, alla leggerezza attribuiva un valore sommo e indiscutibile e la grande popolarità di cui hanno goduto le sue opere ne dà dimostrazione.
I SUOI LIBRI E I SUOI ARTICOLI, di norma ben più ampi di quelli che apparivano sulle pagine culturali dei giornali su cui scriveva (soprattutto Il Corriere della Sera e La Repubblica) avevano un territorio vastissimo che comprendeva un’estrema varietà di letterature: dalla Alice di Carroll (Il tè del cappellaio matto) a Omero (La mente colorata), dal Libro di Giobbe al Corano, i mistici come il Don Chisciotte.
Presidente della Fondazione Valla, ha pubblicato edizioni impeccabili
di classici noti e meno noti (Ovidio, Giuliano Imperatore, Erodoto,
Niceta Coniata, Giovanni Scoto e molti altri).
Citati sosteneva che lo scopo del critico è di inoltrarsi negli spazi
del testo per portarne alla luce le pieghe più riposte e dunque la vera
letteratura è quella che postula letture ripetute, le sole che possono
consentire di cogliere quanto di implicito si celi nella scrittura. Le
sue stroncature erano riservate infatti ai libri che una volta letti non
avevano più nulla da dire.
Dunque critico e testo si presentano come soggetti mobili in continua mutazione e un soggetto mobile gli si presenta anche il mondo nel suo complesso, scenario in perenne allestimento segnato da una sorta di fosforescenza e capace di configurarsi ogni volta in forme inedite. Anche per questo la sua attenzione si concentrava sui particolari e mai sui massimi sistemi, perché proprio i dettagli più minuti osservati da vicino andavano a dare una composizione precisa e sempre nuova dove la meraviglia della scoperta ribaltava il mondo conosciuto: un raggio di luce, un’acconciatura, il colore di un legno.
Con la letteratura si ripete ciò che egli sosteneva dei girasoli di van Gogh: «i girasoli non appassivano, non si inaridivano, non si spegnevano, non morivano: anzi moltiplicavano la propria torturata vitalità, perché ogni aspetto di morte si rovesciava nel suo contrario» (Sogni antichi e moderni).
GRAN PARTE DEI SUOI INTERVENTI sono stati dedicati a testi dell’Otto e del Novecento: Dickens, Poe, Flaubert, Hawthorne, Stevenson, James. Nei testi che Citati legge con noi si sente il suono di voci eternamente viventi. Questo è il prodigio della letteratura. La conferma anche nell’ultimo articolo, su Dürrenmatt, nel quale la «Svizzera grigia che non esiste più» non viene rimpianta, ma respira come vivo e felice spazio legato al ricordo della grande amicizia con Fellini. Pubblicato 5 giorni faEdizione del 29 luglio 2022